Luce negli Abissi
Nacqui nella Luce, nella Perfezione e nel Silenzio.
Presi forma poco alla volta, sentendo l’amore che mi plasmava, punto per punto, fino a quando l’ultimo filo non fu al posto giusto, l’ultimo nodo stretto in maniera impeccabile, i miei abiti puliti, lucenti e stirati.
All’epoca immaginavo si essere destinata alla gioia degli occhi, alla felicità; un’opera d’arte che esprimeva non solo l’abilità e l’estro dei miei creatori, ma anche un riferimento, un concetto, un’idea.
All’epoca ero ingenua, stolta e non conoscevo il mondo.
Fui messa in un piccolo letto di legno bianco, una culla, con fregi che ricordavano usignoli e piccole lettere dorate che mi donavano un nome: Lucrezia.
Mi piaceva il mio nome, mi ricordava la luce che sentivo prima di prendere forma ed in cuor mio sentivo che mai miglior nome era stato indovinato.
Il viaggio verso la mia casa fu breve, non capii esattamente come avvenne, ma ricordo la grande concitazione di due adulti prima che fossi regalata alla loro bambina: Molly.
Una fanciulla bizzarra, con le guance rubizze, circondate da strane rughe inappropriate per la giovane età, le gambette corte, i capelli biondo cenere e le dita piccole e tozze, sebbene avrei scoperto, molto forti.
Molly mi osservò alcuni minuti in silenzio, scrutandomi con un misto di sorpresa e perplessità. Io cercavo di apparire più radiosa che mai, ma lei non credo se ne sia mai curata, alla fine mi prese con sé senza una parola, con fare protettivo, materno pensai inizialmente.
Quella sera stessa sperimentai per la prima volta il terrore.
Fece a pezzi il mio bel vestito con delle forbici, sfigurandolo orribilmente, mi percosse più e più volte, schiantandomi contro il pavimento, strappò uno ad uno tutti i miei bottoni e mi colpì talmente forte che nemmeno il mio volto di porcellana resse, crepandosi insieme a tutti i miei sogni.
Dopo quella prima notte, ce ne furono molte altre, tutte uguali, strazianti e atroci.
Ogni giorno perdevo un frammento di dignità, ogni volta che venivo tirata fuori da sotto un letto, o ritrovata in mezzo ad un ammasso di panni sporchi, venivo riconsegnata alla mia aguzzina, che mi faceva rimpiangere di essere venuta al mondo.
Alla fine divenni vecchia, troppo logora per poter essere aggiustata e tristemente conciata anche solo per meritare nuove torture e così venni gettata via. Di nuovo la speranza mi colmò, fuori da quell’Inferno potevo aspirare quanto meno ad essere ignorata, lasciata in pace, potevo morire in tranquillità, guardando il colore meraviglioso del sole ogni giorno riscaldare il mio cuore malconcio.
Il mondo però non è mai gentile ed anche quando non hai più nulla da dare, quando pensi di aver perso ogni cosa, trova il modo di rammentarti che esistere è in sé una colpa.
Occhi rossi e scintillanti, piccoli rubini che brillano fiochi nell’oscurità; conobbi per la prima volta i Ratti, pensando a quanto lirica fosse stata la loro entrata in scena.
Con un morso uno di loro mi squarciò il corpo e mi trascinò lontano dalla Luce, nelle tenebre del sottosuolo. Qui altri si contesero le mie interiora, svuotandomi non solo di ogni filo di lana, ma anche della sbriciolata speranza che, chissà come, era riuscita sinora a sostentarmi.
Spezzata, distrutta e smembrata, mi mescolai ad un rivolo di fango, implorando di poter smettere di pensare, di cessare di esistere, semplicemente di scomparire. L’oblio non era la punizione, ma il meritato premio dopo un’esistenza grama e devastante.
Il fango per un po’ mi accolse, mi nascose al mondo, dandomi tregua, ma non concedendomi la grazia della Fine.
Quando ero convinta che sarei rimasta sepolta per sempre, un’altra volta cambiò tutto: con un tuffo mi ritrovai trasportata dalla corrente, in mezzo ad un’enorme massa d’acqua.
Ciò che restava del mio corpo non resse a quello schianto e si sfaldò completamente; solo la mia testa, un tempo di bianca porcellana, in qualche modo non si infranse e cominciò a precipitare negli Abissi.
Il terrore iniziale fu poco a poco rimpiazzato dalla consapevolezza che la pace che avevo sempre cercato finalmente era a portata di mano. Il Buio dell’oceano era una culla perfetta, migliore persino di quella in cui ero nata, sopra di me piccole stelle brillavano fioche, lontane e rassicuranti, piccoli punti di Luce, opache finestre sul mondo che avevo ormai abbandonato.
Col tempo, anche la porcellana del mio cranio si sbriciolò e di me rimasero solo due perle, gli occhi che avevano visto e sofferto tanto, due lacrime solidificate che erano tornate a casa, alla Perfezione.